Per quasi una cantina su cinque l’attività di ospitalità rappresenta ormai una fetta rilevante del fatturato, confermando il ruolo strategico del turismo del vino.
Il 18% delle cantine italiane con attività strutturate di enoturismo dichiara che l’ospitalità genera oltre il 60% dei ricavi. Un indicatore che segnala come il turismo del vino non sia più un’operazione marginale, ma una leva strategica per la competitività del settore.
Lo evidenzia la ricerca curata da Roberta Garibaldi (Università di Bergamo e presidente dell’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico) insieme a SRM – Centro Studi del Gruppo Intesa Sanpaolo, presentata al “Fine, WineTourism Marketplace Italy” di Riva del Garda. Il rapporto ritrae un comparto in trasformazione, dove tradizione e innovazione iniziano a camminare insieme.
Oggi il 63% delle aziende gestisce direttamente l’accoglienza, ma cresce la professionalizzazione: il 17% impiega più di dieci addetti dedicati. L’esperienza del visitatore si estende oltre la degustazione, includendo ristorazione, ospitalità, eventi culturali e cerimonie, con prezzi medi tra 36 e 50 euro.
Le cantine italiane si distinguono anche per la valorizzazione del paesaggio: il 90% propone visite nei vigneti, contro il 61% della media mondiale.
Restano però margini di crescita sul fronte digitale e internazionale: gli stranieri rappresentano solo il 30% dei visitatori e meno dell’1% delle aziende utilizza tecnologie avanzate o intelligenza artificiale.
Tra il 2022 e il 2024, il 77% delle imprese ha investito nell’enoturismo e oltre la metà continuerà a farlo entro il 2027, con un’attenzione crescente alla formazione e alla sostenibilità.
Un segnale chiaro: l’enoturismo è ormai il cuore esperienziale e strategico del vino italiano, dove accoglienza e territorio diventano il nuovo terroir del successo.

